La strada
Raccontato dalla stampa dell'epoca
LA STRADA
Raccontato dalla stampa dell’epoca
A cura di Giuseppe Ricci
Con un testo di Andrea Minuz
Isbn 979 12800 23 803
212 pp. colore
Euro 20,00
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All’uscita nelle sale, il film ha un successo quasi insperato: grazie soprattutto al passaparola, la gente accorre a vederlo e a commuoversi alle vicende di Gelsomina e Zampanò. La strada incasserà meno degli altri film italiani presentati a Venezia ma, in virtù di un budget nettamente inferiore ai loro, avrà un saldo fra costi e guadagni estremamente positivo. I critici che durante la Mostra avevano espresso più di una perplessità, generalmente rimangono sulle stesse posizioni, non rivedono i loro giudizi, non hanno ripensamenti, anche se l’entusiasmo a cui assistono nei cinema di città qualche piccolo aggiustamento lo provoca.
Un marziano in Italia Fellini, La strada e la critica degli anni cinquanta
di Andrea Minuz
«Troppi motivi fiabeschi», «troppa confusione», «privo di intreccio», «fumoso» oppure, al contrario, «troppo scritto», e poi ancora, «letterario, falso, misticheggiante ». Sono alcuni passaggi a caso dalle prime recensioni italiane alle prese con La strada, all’indomani dell’anteprima del film, al Festival di Venezia del 1954. La proiezione di Fellini aveva chiuso una Mostra che si sarebbe poi trascinata per settimane su giornali e riviste, sulla scia di furibonde polemiche per il verdetto della giuria, colpevole di aver ignorato Senso di Luchino Visconti, di aver premiato col Leone d’Oro, Romeo e Giulietta di Renato Castellani, e assegnato poi un’ammucchiata di Leoni d’Argento, I sette samurai di Kurosawa, Fronte del porto di Kazan, L’intendente Sansho di Mizoguchi, e appunto La strada di Fellini (forse proprio quello di Castellani sarebbe risultato sul lungo periodo il più dimenticabile, ma è difficile oggi immaginare tanti grandi film insieme, cui va aggiunto, La finestra sul cortile di Hitchcock, passato però inosservato). La critica cinematografica non è una scienza esatta. Più di altre pare anzi destinata a lasciare dietro di sé un vasto elenco di cantonate, anche perché si misura con un oggetto, il film, quasi mai progettato per i posteri. La corposa rassegna stampa di La strada che potete leggere grazie al lavoro meritorio di Giuseppe Ricci, restituisce un periodo, un clima culturale, un tono del dibattito pubblico che oggi facciamo fatica a capire. Ma è proprio dentro questo quadro, proprio calandoci nello spirito del tempo che possiamo cogliere appieno le novità di La strada, lo “strappo” di Fellini, la sua capacità di sparigliare le carte, ribaltare schemi e pregiudizi all’epoca dominanti. Nella cultura irregimentata degli anni Cinquanta, Fellini piomba come un marziano. I suoi film di quel decennio, e La strada in particolare, sembrano arrivati da un altro pianeta. E nel gioco critico delle ascendenze culturali, delle filiazioni, delle scuole e delle tendenze in cui infilare film e autori Fellini è imprendibile. Film inclassificabile, La strada sarà oggetto di una disputa politica pretestuosa: difeso non senza perplessità dalla critica cattolica, attaccato e ripudiato dai comunisti, utilizzato da entrambi come metro di misura dello stato di salute o di crisi del neorealismo italiano. Certo, qualcuno coglierà subito la sua grandezza (Fellini può già contare su alcune firme di fiducia che subito vedono l’originalità del suo lavoro, Gian Luigi Rondi, Renzo Renzi, Tullio Kezich, che diventerà poi biografo e fellinologo di riferimento per molti studiosi). La strada avrà una vasta eco all’estero. Porterà a Fellini il primo Oscar, Giulietta Masina diventerà da lì in poi “Gelsomina”, la sua immagine pubblica resterà di fatto a lungo insperabile da quel ruolo cucito su misura per lei. Ma soprattutto La strada sarà subito amato dal pubblico, dai tanti spettatori che alla fine del ’54 uscivano commossi dai cinema, avendo negli occhi le stesse lacrime di Zampanò, solo, disperato, a rotolarsi su quella spiaggia malinconica, lì dove si chiude il film. È il pubblico la prima rivincita che Fellini si prende sulla critica. [...]
(il saggio introduttivo completo si trova nel volume a stampa)
Giuseppe Ricci è stato l’archivista della Fondazione Federico Fellini di Rimini, occupandosi fra l’altro dell’allestimento delle mostre e dell’attività editoriale, in particolare della redazione della rivista “Fellini Amarcord”. Prima aveva lavorato come ricercatore e responsabile della documentazione per la Cineteca del Comune di Rimini, curando numerose pubblicazioni, fra cui i cataloghi delle dieci edizioni di Riminicinema e delle due di Adriaticocinema. È fra i curatori della monografia felliniana Io FF il re del cine (1994), dei tre volumi della biblioFellini (2002-2004), e dei tre libri dedicati a Giulietta degli spiriti (2005), 8½ (2008) e La dolce vita (2010), realizzati attraverso la rilettura delle rassegne stampa degli Archivi Rizzoli. Nel 2023 è curatore del volume Amarcord raccontato dalla stampa dell’epoca (Edizioni Sabinae / Fellini Museum).
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