La dolce vita

di Angelo Arpa

In occasione dei 50 anni dall’uscita del film di Federico Fellini “La dolce vita” la casa editrice Edizioni Sabinae, nella collana di cinema italiano, pubblica un saggio di Padre Angelo Arpa che ripercorre il “pandemonio politico e religioso” che il film suscitò nell’Italia degli anni Sessanta.
Una testimonianza unica e straordinaria quella di Angelo Arpa che frequentò ed ebbe come amico Federico Fellini per oltre quarant’anni. Arpa, padre gesuita, conobbe Fellini al Festival di Venezia del 1954 per poi accompagnarlo lungo tutta la sua carriera artistica fatta di successi, premi Oscar e molte insidie dovute alla morale e alla società che stava cambiando.
La testimonianza di Angelo Arpa è preziosa perché non solo analizza i fatti, ma svela molti retroscena finora inediti visti da chi all’epoca era nei “poteri” vaticani e della politica italiana.
“La dolce vita” rimane un capolavoro artistico ed uno spartiacque nella modernità europea.

Gesuita, filosofo e inventore del Cineforum in Italia. Conosciuto ed apprezzato nel mondo del cinema e dell’arte per aver sempre sostenuto la creatività in ogni sua forma.
In particolare con Federico Fellini ha condiviso un’amicizia lunga e proficua durata oltre 40 anni, della quale si ricordano le difese ufficiali dei film “Le notti di Cabiria” e “La dolce vita”.
Fellini lo ritrasse in “cameo” nel film “Toby Dammit” (1968) chiamandolo padre Spagna, produttore cinematografico di spaghetti-western. In quegli anni, infatti, Arpa produceva il film di Roberto Rossellini “Era notte a Roma”. Personaggio carismatico, sempre pronto all’ascolto di chiunque cercasse ed esprimesse Arte, ha espresso il suo impegno di intellettuale e di sacerdote alla ricerca della verità nel bello e nella creazione artistica.
Solo alla morte di Fellini si convinse a raccogliere, in modo discreto e attento, la sua esperienza con il regista ed in particolare con il film “La dolce vita”. Uno “scandalo” che dura ancora dopo 50 anni.

Intervista ad Angelo Arpa (2000) - Risplende “La dolce vita” di Umberto Rondi

Padre Arpa racconta perché difese il film contro il Vaticano «Dopo che parlai a favore del film, quarant’anni fa, il Vaticano mi vietò di parlare per un anno di cinema, venni praticamente torturato» dice con un sorriso sulle labbra padre Angelo Arpa, forse il sacerdote che più da vicino ha seguito, spesso in strettissimo, complice contatto, il lavoro e l’amicizia di vari autori del cinema italiano tra cui soprattutto Federico Fellini cui ha dedicato già vari libri fra cui uno chiamato proprio’La dolce vita’.Sono passati 40 anni dalla realizzazione di questo celeberrimo film. Che, come si sa, fece epoca ed ebbe una sequela di imitatori più o meno consapevoli. Un successo che dura ancora adesso visto che recentemente in America Abel Ferrara ha progettato un remake del film e in Inghilterra una famosa compagnia di ballo, la David Glass Ensemble ne ha tratto ispirazione per un musical. Un film epocale, insomma. Un affersco italiano. Un’opera tra le più grandi dell’arte moderna.

Lei come seguì questo film? «Io conobbi Fellini nel 1958 a Venezia per un suo film, me lo presentò uno dei suoi sceneggiatori, Brunello Rondi. Mi ricordo che la mattina dopo che ci conoscemmo mi telefonò e mi chiese già “possiamo darci del tu”. Così cominciammo a frequentarci. La dolce vita la seguii abbastanza da vicino sentendomi di tanto in tanto con Fellini facendo quello che lui amava di più: passeggiare o andare in macchina di notte fuori Roma».

Che cosa è stata ‘La dolce vita’?«Certamente il film capolavoro che fece fare un grande balzo in avanti a Fellini. Ha saputo comporre un mosaico di personaggi sapendo cogliere in ciascuno la propria individualità. Un film originale, impossibile codificarlo. Ecco perché è sempre fresco e bello, come fatto ieri. Finisce con quella patetica immagine del mostro marino che in fondo rappresenta tutti i personaggi del film. Che cos’erano questi personaggi? Insicurezza, vacuità. Però Fellini non li giudica e il film va interpretato seguendo le emozioni che provoca».

Molti critici hanno paragonato il Fellini della ‘Dolce vita’ a Picasso, allo Stravinsky della ‘Sagra di Primavera’… «Può darsi. L’hanno anche definita ‘un monumento di marmo’. Tante parole si possono trovare eppure nessuna è sufficiente a restituire quel che prova vedendola. In realtà ‘La dolce vita’ non può essere paragonata né spiegata più di tanto. È come l’amore, non si può analizzare troppo, va sperimentato, va percepito. Tutto il mondo del cinema di Fellini del resto è così come Federico stesso, ripeto: guai a volerlo capire, bisogna percepirlo che è un grado più profondo di comprensione.».

Nella scena più famosa del film Mastroianni dice alla Ekberg ‘ma tu chi sei? la prima donna, l’amante, la madre’ senza ottenere una risposta… «Marcello aveva bisogno di esprimersi, di dire una delle tante cose che aveva dentro, senza in realtà aspettarsi una risposta. Ma in tutto il cinema di Fellini non bisogna, direi, trovare delle risposte ben definite».

Che cosa fece irritare tanto il Vaticano che bollò il film come immorale? L’orgia – solo mimata tra l’altro – del finale? «Ma no, una cosa molto più banale: lo spogliarello e il cappello da prete che indossa Ekberg sullo sfondo di San Pietro. Una cosa ridicola perché non capirono che era un’immagine delicatissima, una magia».

Lei seguì anche il progetto del ‘Viaggio di Mastorna’ la celeberrima sceneggiatura (pubblicata nel ’96 da Bompiani) – scritta dallo stesso Fellini con Buzzati, Rondi e Zapponi – che non si realizzò mai. Cosa può dire in proposito? «Era Giulietta che non voleva. Un film sulla morte… per chi era superstizioso non si doveva proprio fare. E forse Federico aveva una sorta di forza negativa sul film che in fondo girò con la sua morte: tutti quei giorni in coma a tu per tu con la morte. Che cosa avrà visto, cosa avrà intuito Fellini in quei momenti? Forse ha girato ‘Il viaggio di Mastorna’ senza saperlo…»

Prezzo: € 15,00
Dati: Aprile 2010
ISBN 978-88-96105-56-6